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"Ricominciò tutto da un funerale. Da un funerale ivoriano, in una chiesa cattolica del sud Italia, una mattina di settembre a Bari. Tra le righe di una preghiera a un Dio apolide, Priscilla ritrovò tutto il film di una vecchia storia". In una concezione circolare del tempo che è tutta africana, la dipartita di Thérèse è occasione di ritorni: di un viaggio emozionale a ritroso negli anni, fino ai primi Novanta, quando Bari è città vivace di transito e frontiera. A casa Lilou, fra piatti fumanti di foutou e riz graz e il lesto rituale intrecciare di capelli e racconti, s'incontrano vite lontane e diverse, e una tavolozza di carnagioni che spazia dal latte scremato al cioccolato fondente, e le conversazioni si allungano nella notte saltando dall'italiano al francese alla lingua yacouba, dall'arabo al greco al dialetto barese. Amalgama di questa umanità esule, di queste variopinte identità "diversamente culturali", è il riso, nel suo duplice significato di alimento fondamentale di tanta parte del mondo e di scatto liberatorio, che scardina i recinti della cosiddetta normalità e insegna "il gusto delle differenze, in questo gioco buffo che è la vita".